“No, la mia avventura ai Thunder non è finita come speravo. Ora mi servirà un po’ di tempo per prendere la miglior decisione per me e per la mia famiglia”
Giugno 2018. Dopo queste parole figlie delle delusione per un’annata chiusa nel peggiore dei modi, si apriva ufficialmente la caccia a Paul George. Appena una stagione con Oklahoma, tanti alti e tantissimi bassi di squadra, fino all’eliminazione per mano dei Jazz. Lakers, Celtics, Rockets, Sixers, tutte pronte a fare carte false per averlo. Tutte iscritte alla corsa.
“Vuole andare da LeBron”, twitta qualcuno.
“Ha usato OKC per guadagnarsi un contratto in estate, ma sa che lì non può competere”, aggiungono altri.
Lui in primis, con quelle poche ma pesanti parole, stava lasciando intendere che quel mezzo fallimento proprio non gli era andato giù. Voleva tempo per riflettere, per trovare la miglior soluzione per se stesso e per la famiglia. Frasi di circostanza, almeno all’apparenza. Ma in Paul George c’era molto più di un giocatore davanti a dichiarazioni di facciata. C’era un piano, preciso. Che trova attuazione alla prima data utile possibile, l’inizio della free agency.
La rabbia che ribolle, l’orgoglio che ha dentro e quella fame che sta finalmente mostrando al massimo lo stimolano a fare la scelta più impopolare, che implica il voler accettare la sfida apparentemente più complessa di tutte.
Sigaro in bocca, Broodie accanto a lui, e poche parole. Pochissime. Due in realtà. Inserite in un post sui social il primo luglio 2018, a riprova di una idea ben precisa dell’ex Pacers.
“Unfinished Business”.
Un conto in sospeso.
Lo doveva a se stesso, lo doveva a Russell, lo doveva a tutta l’organizzazione Thunder. Un primo anno per ritrovare la serenità e la consapevolezza dei suoi movimenti, un secondo per tornare la super-star di prima. Guardando negli occhi il diavolo col numero 0, capendo fino in fondo che oltre articoli e chiacchiere c’è molto di più nel suo produrre quel concentrato devastante di punti, rimbalzi, assist, e perché no errori. Vuole vincere, non sa come, ma ci prova così tanto che finisce col convincere tutti. O quasi, Melo docet.
I due si parlano, capiscono dove e come fare passi avanti. Arriva un deciso aiuto anche sul mercato e con queste basi OKC cambia.
Niente Lakers, Sixers, Celtics o Rockets, additate da molti come favorite nella corsa a PG.
Oklahoma sia.
Il nuovo contratto firmato da PG sa tanto di investitura a lungo termine e all-in sulla coppia formata da lui e dall’MVP 2016-17. Mantenendo la coppia più elettrizzante della Lega almeno fino al 2021, rinnovando Jerami Grant, arma tattica fondamentale nelle mani di Donovan su entrambi i lati del campo, aggiungendo Schröder e Noel, i Thunder si sono affacciati alla nuova stagione con più convinzione dell’annata scorsa, segnata negativamente sin dall’inizio dai problemi di adattamento di Anthony.
Il lavoro certosino del general manager Sam Presti ha permesso all’owner dei Thunder Clay Bennet, da sempre attento al portafogli, di risparmiare da Luglio 2018 a oggi ottanta milioni sulla luxury tax, che ad inizio stagione si prospettava da record NBA (con qualcosa come 130 milioni di tasse). Come? Salutando innanzitutto Melo, in una trade in cui i Thunder hanno ricevuto dagli Hawks il redivivo Dennis Schröder. Questo, ma non solo: dall’inizio dell’estate il gm scuola Spurs ha rilasciato Singler (spalmando il suo contratto con la Stretch Provision), scambiato Dakari Johnson a Miami e, notizia di pochi giorni fa, spedito Luwawu-Cabarrot (ottenuto da Phila nella trade di Melo) a Chicago per una contenuta compensazione economica.
Stairway to Heaven: i punti chiave
La stagione inizia con quattro sconfitte consecutive e la posizione di Donovan che pare già in bilico ancora prima di partire. Warriors, Clippers, Kings e Celtics: 4 L per una crisi che a qualcuno sembrava già una bocciatura. Ma che anticipava una risalita pazzesca.
Dal giorno alla notte, infatti, ecco il cambiamento: i Thunder da Novembre svoltano. Avviano una vera e propria rivoluzione che parte da alcuni capisaldi: difesa, impatto dei nuovi giocatori, crescita della second-unit, cambiamento drastico nel gioco di Westbrook, maggior coinvolgimento offensivo di Steven Adams e un PG in formato MVP.
Difesa: ad oggi hanno la seconda migliore difesa in assoluto in NBA a pari merito coi Celtics, dietro ai Bucks di Antetokounmpo (tenuto peraltro a 8/22 dal campo nel vittorioso match contro i Bucks del 28/01) e sono la squadra che ruba più palloni in assoluto (9.7 steals ogni 100 possessi, davanti a Pacers, Grizzlies e Celtics).
Dennis factor: l’acquisizione dell’ex Hawks ha fornito a Westbrook una cosa di cui probabilmente il numero 0 ha sempre avuto bisogno: quel secondo ball handler la cui presenza, al di là del rendimento del tedesco (da verificare sul lungo periodo), sta giovando a tutta la squadra. Donovan sta avendo l’opportunità di provare delle lineup veloci, guidate appunto da due giocatori fisici come Dennis e Russell: il PACE dei Thunder con i due campo insieme a George o Adams è tra i più alti della lega (110 tiri ogni 48 minuti). Per intenderci: più di quello degli Warriors con in campo la death lineup di Durant, Curry e Green (107.81) o di quello dei Bucks con Bledose, Giannis e Middleton (107.91). Questi aggiustamenti nel gioco offensivo hanno reso OKC una delle squadre che giocano a ritmi più elevati, passando dal 18′ posto dell’anno scorso al 3′ di questa stagione per numero di tentativi dal campo ogni 100 possessi.
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Le lineup con Westbrook e Schröder in campo sono inoltre in assoluto tra le più produttive dal punto di vista del rapporto assist/turnover, con più di due assistenze ogni palla persa: si tratta di un valore mai raggiunto l’anno scorso da nessuna coppia di giocatori dei Thunder. L’asse tra il tedesco e l’ex MVP si sta dimostrando più solido del previsto e sta generando notevoli benefici per il gioco della squadra, oggi seconda per percentuale di rimbalzi offensivi (26.1%), generati dall’elevato numero di penetrazioni dei due.
Il nuovo Russell Westbrook
Difesa, secondo ball handler, second unit sono le chiavi della rivoluzione Thunder. Ma a dirla tutta c’è un altro, fondamentale fattore: c’è un nuovo Russell Westbrook. C’è un giocatore che quest’anno si fida molto di più dei compagni, come diviene evidente in un dato su tutti, estremamente significativo: la quantità di tiri assistiti che prende.

Non è un caso se l’USG% del #0, la percentuale dei possessi che un giocatore conclude (con un tiro o un turnover), è ai minimi in carriera.
Escludendo le prime due stagioni ha praticamente lo usage più basso dei suoi 10 anni in NBA (30.2%). In poche parole, i Thunder stanno cominciando piano piano a diventare indipendenti da Russ e lui sta iniziando a calamitare meno il gioco su di sé: il 25.9% dei suoi canestri viene da assist, la terza percentuale più alta della sua carriera (dopo la stagione da compagno di squadra dell’ MVP Durant e l’anno da rookie). Un giocatore che si muove di più senza palla è ovviamente anche un giocatore maggiormente utile alla squadra: i secondi in cui Westbrook tiene il pallone in mano oggi sono in calo vertiginoso (dai 9 della scorsa stagione ai 7 di questa), così come il numero di palleggi ogni volta che si trovi ad avere il controllo della palla(5.35 nel 2017/18, 4 ora).
Nonostante questo, le abilità individuali di Russell rivestono ancora oggi per i Thunder la solita enorme importanza: le lineup di Oklahoma senza la propria point guard sono, incredibile ma vero a dispetto di una narrativa che sul numero 0 finisce con l’essere stucchevole, quelle in cui il pallone gira meno. La sua aggressività nell’ attaccare il canestro è da sempre un marchio distintivo, nonostante i problemi al tiro libero che sta avendo quest’anno, in seguito all’introduzione del divieto NBA per un giocatore di uscire dalla linea dei tre punti quando è in lunetta. Il calo di Russell dalla linea della carità risulta sicuramente preoccupante, alla luce anche del fatto che da due anni a questa parte le percentuali ai liberi sono in picchiata (dall’84% del 2016/17 all’inaccettabile 65% di oggi).
Detto ciò, l’ex UCLA insieme a Schröder combina per circa 29 penetrazioni nel pitturato a partita: senza di loro Oklahoma non ha alternative valide nell’attaccare l’area, tenendo anche conto che i tagli di Adams sono strettamente collegati a quelli delle due point guard (63.6% nel pitturato per il lungo, su sette tentativi a partita).
Il fattore Steven Adams
L’annata del neozelandese lo sta consacrando come uno dei lunghi dal rendimento più solido in assoluto nella lega. Alla stagione con il massimo di punti in carriera a partita, Adams sta contribuendo alla difesa pressante dei Thunder dall’arco, che concedono agli avversari solo il 34% dal perimetro (8’ dato migliore in assoluto in NBA, per lunghi tratti della stagione anche in top 5), in miglioramento rispetto al 36% dell’anno scorso.
Cercato maggiormente dai compagni (circa 5 tocchi in più di media rispetto all’anno scorso), Adams è uno dei giocatori che più sta beneficiando del cambio di ritmo che Donovan ha deciso di imporre ai suoi Thunder. I rimbalzi di media a partita scollinano così per la prima volta quota dieci, pur arrivando sempre nelle sue mani dalla restricted area, a circa un metro e mezzo di distanza dal canestro, come è stato per tutta la carriera. Simile è anche la percentuale di rimbalzi contestati: la difesa dei Thunder rende possibile sfruttare meglio di quanto sia mai stato fatto le capacità a rimbalzo difensivo del kiwi.
Il miglioramento degli “altri”
A proposito di riserve, l’apporto di un’altra delle addizioni estive, Nerlens Noel, si sta dimostrando assai prezioso, soprattutto nella metà campo difensiva. In rotta coi Mavs, il lungo ha firmato in estate un contratto annuale con OKC, nonostante i rumors abbiano indicato che avesse offerte più vantaggiose. Nella difesa vicino a canestro il nuovo #3 ha mostrato miglioramenti importanti. Nerlens tiene le percentuali nel pitturato degli avversari al 36%, un dato migliore di quello di tanti specialisti difensivi più pubblicizzati di lui (quali Capela, Gobert ed Embiid) e migliora ulteriormente nella difesa del midrange (concedendo il 34%), contribuendo a rendere i Thunder la terza miglior squadra nella contestazione dei tiri dalla media distanza. Non appare dunque un caso che l’ex Kentucky stia facendo registrare la sua stagione più produttiva per stoppate ogni 36 minuti, andando più che a raddoppiare il valore dell’ultima annata.
Menzione particolare merita anche Terrence Ferguson, autore di tiri importanti (come nella gara vinta a Philadelphia), i cui miglioramenti nel tiro da 3 (38% quest’anno per lui contro il 33% della passata stagione) sono oro colato per una squadra alla disperata ricerca di pericolosità perimetrale, sopratutto nel backcourt.
Altro insospettabile upgrade rispetto alla scorsa stagione è Alex Abrines, deludente lo scorso anno, ma oggi in campo in tre dei quattro migliori terzetti dei Thunder per defensive rating. Un apporto assolutamente necessario il suo, anche alla luce dei problemi fisici di Roberson, che hanno permesso a coach Donovan di schierare più spesso in campo lo spagnolo rispetto a quanto fatto fino all’anno scorso, con un minutaggio salito a 19 minuti nonostante il calo nelle percentuali dal perimetro dell’ex Barcellona, che tira ora con il 32% dall’arco.

Waiting for Andre
Il contributo che Roberson, il miglior difensore NBA della scorsa stagione prima del suo infortunio, potrà dare, non è chiaramente sottovalutabile. L’anno scorso l’ex Buffalo di Colorado risultava il miglior giocatore dei Thunder in assoluto per Defensive Win Shares, un dato che misura l’importanza di un determinato giocatore nella metà campo difensiva per la sua squadra. Il dato era inoltre ben supportato dalle sue statistiche on/off court, in cui risultava in assoluto il giocatore la cui presenza in campo faceva registrare il differenziale maggiore nel Defensive Rating della squadra (96.4 punti subiti con lui in campo, 107.6 senza, ogni 100 possessi).
Quest’anno OKC sta mantenendo un rendimento difensivo statisticamente identico a quello avuto l’anno scorso con la propria guardia titolare a disposizione.
Il suo reintegro, per quanto essenziale se i Thunder puntano a chiudere quel cerchio come promesso da PG, non sarà semplice: fino all’anno scorso il modo di giocare di Westbrook permetteva alla squadra di schierare il suo miglior difensore nascondendone in parte i limiti offensivi. Senza Russell invece , Roberson semplicemente non veniva mai schierato in campo. La capacità di Schröder di creare gli stessi vantaggi per Andre non è certamente scontata e allo stesso modo risulterà interessante l’aggiustamento alle rotazioni che Donovan dovrà necessariamente apportare, perdendo ulteriore pericolosità dall’arco, aspetto in cui la squadra fatica già molto (per lunghi tratti anche addirittura ultima per percentuali dal perimetro, ora 18′ con il 34.9%, in calo rispetto all’anno scorso).

MVP! MVP! MVP!
Per anni i sostenitori dei Thunder hanno dedicato l’iconico canto riservato esclusivamente ai grandi campioni al solo Westbrook, vera e propria icona e, forse, tra gli ultimi veri giocatori NBA che riescano a incarnare a pieno il concetto di fedeltà.
Il cuore dei tifosi dei Thunder ha però quest’anno trovato finalmente sollievo per l’addio di Kevin Durant di tre anni or sono, grazie a un Paul George che sta giocando senza alcun dubbio la miglior pallacanestro della sua vita su entrambi i lati del campo. Uno dei tanti esempi della sua grandiosa stagione si è avuto contro i Nets, quando ha stabilito il record di franchigia per punti segnati in nel quarto periodo (25), completando la sua incredibile partita con il canestro della vittoria.
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Con il passare dei mesi l’ex Pacers ha mantenuto delle prestazioni che lo hanno reso il candidato numero uno per il premio di miglior difensore dell’anno, in quanto leader assoluto NBA per rubate, deflected balls e palloni vaganti recuperati, in aggiunta al fatto che gli venga assegnata ogni notte la marcatura del giocatore più pericoloso tra gli esterni (abbassando peraltro la percentuale dal campo dell’avversario diretto del 4%, meglio di specialisti come Kidd-Gilchrist e Klay Thompson).
I miglioramenti di George sono talmente assoluti da rendere complesso parlarne in maniera esaustiva in una analisi incentrata sulla squadra intera: Paul è alla miglior stagione in carriera per rimbalzi (8), triple totali segnate (dato in cui è terzo assoluto, primo tra le non point guard), palle rubate e punti a partita (27.6, al sesto posto in NBA), pur mantenendo una USG% del 28%, inferiore a quella di Westbrook e a quella mantenuta negli anni di militanza nell’Indiana. Tutto parte dai miglioramenti fatti in estate sul proprio jump shot: PG13 ha trovato nel tiro dal midrange un’arma assolutamente vitale sia al suo gioco che a quello dei Thunder. Per la prima volta in carriera riesce infatti a scollinare la percentuale del 40% nel tiro dalla media distanza, vero tallone d’achille del suo gioco offensivo durante la passata stagione. Questo miglioramento sta portando le difese avversarie a essere molto più aggressive nella sua marcatura: ciò è ben definito dall’aumento del numero di viaggi in lunetta, al massimo in carriera (a pari merito con la stagione 2015/16): una buona notizia per i Thunder, vista la percentuale dell’84% dalla linea della carità dell’ex Fresno State.
Non è dunque un caso che Westbrook stia lasciando al compagno la gestione di possessi decisivi molto più di quanto facesse l’anno scorso, come si può vedere nel grafico sotto.

Dal possibile abisso all’elìte NBA
Il calendario NBA ha decretato che OKC avrà una parte finale di stagione praticamente impossibile, dalla pausa All Star Game in poi. L’altro lato della medaglia è che finora il rendimento di OKC, per quanto sicuramente frutto di una tendenza positiva, è figlio anche del quinto cammino più semplice della lega (Miami la squadra più fortunata), secondo la Strenght of Schedule (SOS). La SOS, un po’ come si fa nel mondo della boxe, tiene conto della difficoltà degli impegni sostenuti da una determinata squadra in un certo punto della stagione, analizzando gli avversari da essa incontrati e il loro calendario. I prossimi mesi, dunque, metteranno a dura prova i Thunder, che avranno l’opportunità di mostrare la pasta di cui sono realmente fatti. Tutto sembra cambiato dalla potenziale catastrofe che sarebbe stata rappresentata dall’eventuale addio di George, ma con il 13 in versione MVP, con il nuovo Westbrook, con Adams, Shroeder e Noel, Oklahoma è, davvero, una vera minaccia non solo ad Ovest, ma per tutta l’NBA.
Per chiudere, in un modo che nella Conference dei Warriors sembra praticamente impresa impossibile, quel conto in sospeso.