Business card. Europeo Under 20, 2011.
Quando Alessandro Gentile ha iniziato ad essere un “nome”, nella pallacanestro italiana, i motivi sono stati essenzialmente tre. Il primo, ovvio, il cognome: essere il figlio di Nando, a tratti, non deve essere stato semplicissimo. Il secondo, quello tecnicamente più rilevante, è che il suo biglietto da visita al mondo del basket è stato l’europeo Under-20 del 2011 disputatosi a Bilbao, che ha visto l’Italia tornare a casa con la medaglia d’argento dietro ad una Spagna decisamente mostruosa (c’è bisogno che vi ricordiamo chi ha vinto i mondiali di pallacanestro la scorsa estate? No, vero?). “Ale”, nato a novembre del 1992 ma aggregato alla classe dei 1991 (che comunque in Italia è stata di tutto rispetto, se pensiamo che in quella squadra c’erano Melli, Polonara, Moraschini, Michele Vitali, De Nicolao, Fontecchio, Baldi Rossi e Cervi, tra gli altri), chiude quella manifestazione come quarto miglior realizzatore del torneo davanti ad un certo Evan Fournier, venendo incluso nel quintetto ideale insieme allo stesso Fournier, a Mirotic (MVP del torneo), a Dubljevic e Aldemir. Il terzo motivo, diretta conseguenza del primo, è che Ale dimostra da subito di essere un giocatore di grande, grandissima personalità, con una fiducia illimitata nei propri mezzi tecnici e fisici. A dispetto della giovane età gioca già come un veterano, ai limiti della faccia tosta.
Yin e Yang. Da Treviso a Trento.
Figlio d’arte, talentuoso e sfrontato: una combinazione che ha fatto sì che le aspettative nei suoi confronti fossero fin da subito altissime. La più pericolosa delle armi a doppio taglio, quando si parla di un talento precoce nello sport, in qualsiasi sport. Su di lui, in un certo senso, il giudizio finale sembra essere già stato emesso, il che è abbastanza paradossale se pensiamo che si tratta di un giocatore di poco più di ventisette anni. Alessandro Gentile è il giocatore italiano più polarizzante degli ultimi anni, su di lui ci si esprime quasi sempre in termini di bianco o nero, laddove ovviamente esistono infinite sfumature che non sono né l’una né l’altra cosa. Il figlio di Nando è come il simbolo dello Yin e Yang: c’è una parte chiara nel suo lato oscuro, c’è un angolo oscuro nella parte di lui più splendente. Giudicare Ale Gentile secondo parametri “normali” per uno sportivo, per un cestista, è un lusso che a lui non è mai stato concesso. Crescere con le stimmate del predestinato è un peso che può schiacciarti, o caricarti: per lui è stato a volte l’una, a volte l’altra cosa. Il numero 0 (scelta maturata già alla Virtus Bologna, che immaginiamo non essere casuale, visto che in nazionale e a Milano indossava il 5, che era il numero di suo padre, ed è poi tornato a vestirlo a Trento) è un giocatore che non può lasciarti indifferente, perché è quello che a ogni possesso ti dà l’impressione che segnerà in faccia al suo difensore, accada quel che accada. Ma Alessandro è un giocatore nei confronti del quale i parametri dell’oggettività saltano come i picchetti di una tenda da campeggio quando passa una tromba d’aria. E sì che il basket è uno sport di (tante) cifre, ma mai come nel suo caso le cifre, davvero, non dicono niente.

Foto M.Ceretti / Ciamillo – Castoria
Gentile parte nella carriera coi “grandi” da Treviso, abbiamo detto. L’esordio nella massima serie avviene nella stagione 2008-2009, ben prima della maggiore età. Da lì è un crescendo inarrestabile. La prima stagione da titolare, poi Milano, l’Europeo 2013 giocato da protagonista assoluto a soli 21 anni, la chiamata al secondo giro del draft NBA 2014, la vittoria del campionato con l’Olimpia Milano, il “treble” del 2016 con scudetto, Coppa Italia e Supercoppa Italiana. Un’ascesa che vista col senno di poi lo ha fatto sembrare come un novello Icaro della pallacanestro tricolore.
Comfortably numb.
Now I’ve got that feeling once again
I can’t explain, you would not understand
This is not how I am.
I have become comfortably numb.
Alessandro Gentile è indescrivibile coi numeri, abbiamo detto, ed è vero. Anche se purtroppo alcuni dei suoi numeri sono risuonati a volte come una condanna, per il giocatore. Ne diciamo due, tanto per contraddirci – ma fino ad un certo punto. Una prima fase della carriera da 75% ai liberi, poi l’infortunio al polso destro nel 2016: adesso ha una meccanica di tiro dalla lunetta oggettivamente piuttosto brutta (ma quello sarebbe il meno) e decisamente meno efficace di prima: il 75 è diventato un 57, e nella stagione in corso addirittura un 50,7%. C’è poi il tiro da tre, da sempre un’arma che funziona a fasi alterne. In carriera siamo sotto al 30%. Eppure, e qui ritorniamo al discorso di prima, Gentile è uno dei giocatori più unstoppable, più inarrestabili, del campionato italiano e forse d’Europa. Ed è qui, in questa contraddizione fin qui irrisolta ed apparentemente irrisolvibile, che sta tutto il fascino cestistico del numero 5 di Trento agli occhi di chi scrive.

Ale è indubbiamente un giocatore di temperamento, con un body language in campo che lo rende sistematicamente antipatico ai giocatori e ai tifosi avversari. Riceve palla dando le spalle al suo difensore, apre il palleggio e quasi lo guata, dà sempre l’impressione di comunicare al suo marcatore “adesso io ti segno in faccia, non importa quello che tu faccia o quanto duramente difenderai. Ti segnerò in faccia e lo sappiamo entrambi.” Ci sono le occhiate agli avversari, agli arbitri, c’è quel volto così tremendamente espressivo che gli si legge in faccia, quasi, che nel rettangolo di gioco lui quasi sempre si sente più forte di compagni e avversari. Questo fa sì che venga in un certo senso percepito come un giocatore antipatico: chi scrive non ci ha mai parlato di persona, e probabilmente se lo facesse ne ricaverebbe un’impressione totalmente diversa, ma è un dato di fatto che oggi, nella serie A 2019-2020 è difficile, se non impossibile, trovare un giocatore così sistematicamente fischiato, beccato, insultato dai tifosi avversari come lo è Alessandro Gentile. Noi non sappiamo come sia realmente l’uomo, ma vediamo il giocatore che a queste provocazioni non reagisce, anzi, continua a sciorinare il suo modo di giocare a basket, fatto di isolamenti in 1 contro 1, quasi fosse in palestra, in allenamento. Insensibile, si direbbe, a quanto gli viene gridato dagli spalti, Gentile è diventato comfortably numb.
Mamba Mentality?
Quando si parla di Kobe Bryant come cestista è inevitabile pensare a lui come un giocatore divorato dall’interno dalla propria voglia di migliorarsi. Imparare a tirare di sinistro, imitare le mosse di Michael Jordan, allenarsi a ritmi massacranti per aggiungere nuove armi al proprio arsenale offensivo, curare il proprio corpo per permettergli di rendere al massimo.
(Scusate, parlare di Kobe in questi giorni fa male tanto a noi quanto a voi. Kobe, insieme a Dejan Bodiroga, era tra l’altro il giocatore di basket preferito di Gentile)
Alessandro Gentile non ha mai avuto questo tipo di approccio mentale, per sua stessa ammissione. Non è mai stato ossessionato dal basket, non ha mai avuto quel tipo di mentalità. Questo ha fatto sì che il suo modo di giocare, le sue soluzioni offensive, siano rimaste sostanzialmente le stesse di quando aveva vent’anni o poco più. Ball handling più che discreto per un giocatore di quella prestanza fisica, gran gioco in post basso, non da battezzare oltre l’arco perché può farti male.

Giulio Ciamillo/Ciamillo
Negli anni ha aggiunto una maggior comprensione delle situazioni di gioco, che lo aiuta soprattutto in difesa, e non bisogna dimenticare il fatto che la sua stagione sotto le due torri è stata la sua migliore in serie A sia per punti che per rimbalzi (ahinoi, le cifre, di nuovo loro). Non sappiamo, lo diciamo in totale onestà, se Gentile lavori sul suo tiro da fuori, se cerchi di migliorarsi dalla lunetta per tornare a quel 3 su 4 di media che ha avuto fino ad un certo punto della sua carriera, se negli anni si sia allenato per migliorare il suo posizionamento a rimbalzo. Probabilmente lo ha fatto, ma non è comunque bastato perché i frutti si sono visti solo a sprazzi. Non si può certo fare una colpa ad un giocatore se non ha quel fuoco dentro, anzi, forse lo rende persino più umano, più vicino a noi comuni mortali, più “vero”.
“Il futuro non è più quello di una volta”
Chi scrive ha visto giocare dal vivo Alessandro Gentile poche settimane fa, la partita era Pistoia-Trento. I ragazzi di coach Brienza hanno vinto 74-71 con 30 punti e 7 rimbalzi del loro numero 5, che ha messo insieme qualcosa come 14 su 15 da due. Il pubblico lo beccava, ma si capiva benissimo che era perché in realtà lo temeva.
Gentile in campo ha come un’aura da veterano, ma non quel tipo di giocatore che fa sempre la cosa giusta, quanto piuttosto quello che ogni volta che ha la palla in mano riflette un attimo sul da farsi, cercando la miglior soluzione per la squadra. Quando è così, quando ha questi momenti di onnipotenza cestistica, è ancora uno dei più forti giocatori d’Europa. Due settimane dopo la gara di Pistoia, sulla sirena, ha battuto la corazzata Sassari con una tripla di tabella. Cercando, volendo, desiderando quella palla con leadership e consapevolezza. Ovvio che non è stato sempre così, altrimenti staremmo parlando di lui come di un cestista con indosso una delle 30 canotte di squadre NBA, a dispetto di quella rapidità di piedi non eccelsa che gli scout di oltreoceano vedevano come suo principale limite all’approdo nella Lega col logo di Jerry West. E invece, il punto più alto della sua carriera è stato fin qui Milano, visto che la breve parentesi col Panathinaikos è stata tutt’altro che memorabile. Agli occhi di molti che guardano il basket distrattamente, Ale Gentile è il giocatore che ha disputato degli europei 2013 e 2015 quantomeno gagliardi, al netto di quell’ultimo sciagurato possesso contro la Lituania, salvo poi non venire convocato nel 2017 (a proposito: il giocatore “antipatico” e “presuntuoso” che molti vedono nel figlio di Nando commentò l’esclusione da EuroBasket 2017 definendola giusta, e aggiunse che questo fatto gli avrebbe dato nuovi stimoli per fare meglio), tornando poi in azzurro per i mondiali cinesi dello scorso anno. Forse certi suoi spigoli caratteriali, forse questo suo atteggiamento sono il motivo vero per cui le cose non sono andate come tutti speravamo, ma chissà, a volte la spavalderia è una corazza che indossiamo per mascherare le nostre fragilità. Del resto, una volta in un’intervista gli è scappato anche detto: “la più grande delusione sono le molte delusioni dal punto di vista umano. È brutto scoprire come sono fatte veramente le persone.” Se pensiamo a quello che ritenevamo possibile per lui solo sette anni fa, ci sembra quasi impossibile che il punto più alto della sua carriera sia stato Milano. C’è una canzone che lo spiega meglio di quanto potremmo fare noi, dice così:
Ma Milano non è l’America
Un momento i conti, no, non tornano
Ma Milano non è l’America
Sento un grido e i sogni piano muoiono
I sogni di Ale sono quelli di una persona semplice, comune: una famiglia unita, la paternità, avere una vita serena, possibilmente in Italia. Ma attenti, perché il basket non smette mai di ricordarci una cosa: non è mai finita finché non è finita. Alessandro Gentile ha ancora frecce da scagliare, chissà quanto lontano arriveranno, chissà che non lo portino perfino oltre Milano, oltre i suoi limiti tecnici, oltre i pregiudizi sull’uomo ancor prima che sul giocatore, oltre un futuro che ad oggi sembra non essere più quello di una volta.