Evan Mobley USC 2020-21
Evan Mobley in maglia USC nella stagione 2020-21 (www.usctrojans.com).

E se Evan Mobley fosse un rebus irrisolvibile?

Evan Mobley potrebbe essere il prossimo ingranaggio perfetto della NBA.

Per un attimo, provate a immaginare di essere alti due metri e tredici e provate a capire quanto sia difficile muoversi lungo un campo da basket. Come se non bastasse, immedesimatevi con il pallone fra le mani sulla linea da tre punti. Partire in palleggio è complesso vista la statura e, stando al “galateo” dei lunghi in vigore fino a qualche anno fa, il tiro dall’arco sarebbe una strada poco percorribile. Cosa fare?

Questo dilemma di certo non riguarda Evan Mobley, freshman di USC, unanimemente considerato il miglior lungo in uscita della prossima Draft Class, nonché uno dei favoriti ad essere selezionato con una delle prime tre scelte.

Per quanto visto sopra, Evan è potenzialmente un rebus irrisolvibile per gli avversari.

Il basket nel destino

Il nativo di Murrieta, nel sud della California, è cresciuto in una famiglia in cui la pallacanestro l’ha sempre fatta da padrona. La madre Nicol ha vinto un titolo statale a Mt.Carmel High School, mentre papà Eric, dopo una carriera collegiale a Portland, è stato un apprezzabile giocatore oltre oceano, prima di diventare assistant coach a USC nel 2018. 

La passione per il basket dei coniugi Mobley ha contribuito in modo fondamentale a sviluppare l’amore per il gioco in Evan e Isaiah, il più grande dei fratelli Mobley e anche lui sophomore a University of Southern California. I due sono cresciuti allenandosi sotto i consigli del padre, che per ogni esercizio riuscito li ricompensava con un dollaro, e rispettando le regole della madre, che da buona maestra delle scuole elementari ha sempre richiesto ai figli in primis lo studio ed in secundis il basket. Così sono diventati sempre più competitivi, anche se sembrava Isaiah il predestinato.

Evan fino a 14 anni era alto poco più di un metro e novanta mentre Isaiah era già oltre due metri e poteva sfruttare la sua altezza per dominare gli avversari, al punto da esser costretto più volte a cambiare scuola a causa delle furie dei genitori dei bambini rivali, stanchi di vedere i figli umiliati dal gigante adolescente.

Ma fra l’estate del 2016 e l’inizio del 2017, il piccolo Evan è cresciuto di oltre 15 centimetri, diventando automaticamente uno dei prospetti più interessanti della Nazione nel panorama cestistico statunitense.

Mobley contro Wiseman nella sfida fra Rancho Christian e Memphis East. Vinsero i californiani e Mobley chiuse con 13 punti, due in meno del fratello Isaiah.

Eppure non ha mai apprezzato le luci della ribalta, mantenendosi sempre schivo e riservato nonostante la gloria che sembrava circondarlo. Tale da insinuare il dubbio in papà Eric: “gli piace davvero giocare a basket?”

In realtà, come ha sottolineato l’allenatore di Mobley a Rancho Christian, Ray Barefield, quella fastidiosa apatia nasconde soltanto la facilità con cui il ragazzo ha imparato a migliorarsi, una qualità propria soltanto dei grandissimi.

Da qui l’ingente e peculiare paragone proposto dallo stesso coach: Mozart.

Un potenziale cheat code offensivo

Sul campo Mobley è il perfetto prototipo del cinque moderno, capace di spaziare il campo in attacco e cambiare su qualsiasi giocatore in difesa, pur confermandosi un rim protector di livello e un potenziale cheat code dal lato debole.

Quest’anno Evan Mobley ha trascinato USC alla March Madness, appuntamento a cui i californiani mancavano dal 2017, e alla vittoria della Pac 12, mettendo a segno 16.5 punti di media, leader dei Trojans, e catturando 8.8 rimbalzi. Per questo ha fatto incetta di premi, vincendo il premio di Pac-12 Player of the Year, Defensive Player of the Year e Freshman of the Year, una tripletta che non avveniva dai tempi di Anthony Davis.

L’efficienza è stata una delle qualità migliori del californiano. Il 58% dal campo e il 62% (!) da due testimoniano quanto Mobley sia un grattacapo senza soluzioni per la maggior parte delle difese avversarie: troppo lungo per i quattro, troppo rapido per i cinque. La disinvoltura con cui è capace di attaccare un closeout e l’ambidestrismo di cui è dotato lo rendono impossibile da fermare in situazioni di aiuto, potendo contare anche su una sensibilità non indifferente per un sette piedi.

Il tiro da tre punti è ancora un grande forse, in quanto le % sono ancora “a sud” di un rispettabile 35/36% ma la forma è buona e, considerando le % sui tiri dal midrange (70/149 = 47%) e dalla lunetta (68.7% su 5.9 tiri liberi tentati a partita), probabilmente è soltanto questione di tempo.

In post si è rivelato un giocatore dominante, specie quando le difese lo hanno raddoppiato. Mobley non è un giocatore testardo, anzi è sempre attento a capire ciò che la difesa concede, che sia uno scarico sul perimetro per un compagno o una linea di penetrazione sul fondo del campo. I 2.3 assist di media non raccontano appieno il potenziale da passatore del C di USC, che in un contesto Nba potrebbe migliorare e non di poco i suoi numeri.

Ciò che talvolta lascia perplessi è la mancanza di aggressività in alcune partite. Pur essendo per distacco il miglior giocatore dei Trojans, Mobley più volte non si è dimostrato mentalmente in grado di caricarsi la squadra sulle spalle. Un esempio è la partita del 2 gennaio contro Utah, in cui Mobley ha concluso il match con zero tiri dal campo. Se vuole diventare un All Star, non può permettersi di alienarsi in nessuna partita.

…e difensivo

Quanto detto per l’attacco può essere traslato per la difesa. Mobley è potenzialmente un lungo in grado di difendere in qualsiasi modo un allenatore desideri. È un difensore dell’area straordinario, come attestano le 3 stoppate di media a partita, ma è anche capace di cambiare sugli esterni avversari, senza soffrire in alcuno modo la velocità di quest’ultimi.

Quest’anno la difesa di USC è stata la quinta in Ncaa per adjusted defensive efficiency (88 punti, dati KenPom), ovvero per punti concessi su 100 possessi tenendo in considerazione la caratura degli avversari affrontati. L’anno scorso era diciottesima (92 punti, dati KenPom), un’ottima posizione ma non al livello di quest’anno.

Gli unici dubbi su Evan Mobley sono legati al fisico. Nonostante sia due metri e tredici, pesa soltanto 95 chili, un po’ poco per non soffrire la fisicità e l’atletismo del Nba, e già quest’anno, in alcune situazioni, ha mostrato i limiti nell’avere un frame così leggero.

Queste lacune atletiche potrebbero minare anche il suo impatto a rimbalzo, laddove in Ncaa si è dimostrato fra i primi della classe, specie sotto le plance avversarie(9.8 di OREB%). Mettere massa non dovrebbe essere un problema con i programmi di condizionamento fisico Nba ma il punto di domanda rimane.

L’ora della verità

Come per Cade Cunningham a Oklahoma State, probabilmente anche per Mobley, sulla scelta di accasarsi a USC, ha influito la presenza di papà Eric nel coaching staff e del fratello Isaiah nel roster. Un ulteriore zona d’ombra sulla sua componente caratteriale.

Ma è per la direzione in cui sta andando l’Nba, specie ai playoff, dove per vincere pare necessario avere cinque giocatori in grado di cambiare su qualsiasi pick and roll, che un talento come Mobley diventa sempre più affascinante. Proprio per questo sembra ormai il runner up del prossimo Draft, dietro al solo e inarrivabile Cunningham.

Sul suo futuro, come per la maggior parte dei giocatori, peserà molto il contesto in cui andrà a giocare. Sono pochi i talenti che riescono a raggiungere il proprio ceiling indipendentemente dall’ambiente che li circonda e Evan Mobley mostra legittimi dubbi in tal senso.

Ad ogni modo la fortunata franchigia che lo selezionerà avrà fra le mani un diamante grezzo che, con i giusti attrezzi per modellarlo, potrebbe rivelarsi estremamente prezioso.

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