Un torneo olimpico compresso, magnifico, colmo di emozioni e chiuso con l’epilogo più noto ma non scontato, ossia la vittoria degli USA. Tra i tanti giocatori che si sono messi in mostra nella spettacolare (e purtroppo deserta) Saitama Super Arena di Tokyo, la FIBA ha scelto il miglior quintetto e ai top 5 noi ci abbiamo aggiunto due menzioni d’onore (e di cuore).
Miglior quintetto
Playmaker: Ricky Rubio – Spagna
Nel torneo del canto del cigno con la canotta della Roja dei fratelli Gasol e (molto probabilmente) di Rodriguez, Llull e Rudy Fernandez, Ricky Rubio è stato nettamente il miglior giocatore a disposizione di Sergio Scariolo sotto tutti gli aspetti. Difensivamente, la Spagna non aveva – eccetto Abalde e l’escluso dell’ultima ora Juancho Hernangomez – altri esterni così solidi capaci di reggere il primo passo di quasi tutte le stelle avversarie; con la palla tra le mani poi, Ricky sa esaltarsi come pochi altri in ambito FIBA.

Bravissimo a premere sull’acceleratore ogni volta in cui le difese avversarie non erano schierate, Rubio ha orchestrato l’attacco dei suoi prendendosi moltissime responsabilità (forse anche troppe, vista l’assenza di sparring partner con un chilometraggio esagerato). In totale controllo contro il Giappone, il numero 9 ha giocato splendidamente contro l’Argentina soprattutto nel quarto periodo non sbagliando mai una scelta. Anche contro la Slovenia, mentre i compagni erano impegnati ad ingabbiare Doncic, Ricky si è occupato di massacrare Dragic e gli altri esterni avversari con penetrazioni fulminanti. Tuttavia, un suo errore da tre punti nel clutch time contro gli slavi è costato il primo posto nel girone agli iberici e il conseguente incrocio ai quarti con Team USA.
Ecco, lo scontro con gli americani ha dimostrato come questa Spagna non sia più in grado di fronteggiare le migliori Nazionali al mondo dal punto di vista dell’atletismo e della freschezza nelle gambe. Proprio considerando il contesto particolarmente svantaggioso, Rubio ha confezionato una prestazione stoica da 34 punti (13/20 al tiro), senza mai mollare un centimetro e mostrando un repertorio senza più grossi punti deboli (4/7 da tre punti, suo storico tallone d’Achille in passato). Il numero 9 esce da Tokyo come secondo miglior marcatore (25.5 punti) e quinto miglior assistman (6 assist di media) della competizione. Ora Rubio avrà il ruolo fondamentale nel traghettare “La Familia” verso il nuovo ciclo.
Guardia: Patty Mills – Australia
Il primo aborigeno portabandiera per la sua Australia, Paese a cui Patty è da sempre legatissimo e a cui ha sempre reso onore sul parquet con la canotta dei Boomers. Mills è stato il miglior marcatore del torneo di pallacanestro olimpico di Tokyo 2020 con 26.8 punti segnati di media. La prestazione più rilevante è arrivata nella finalina per il bronzo contro la Slovenia quando ne ha messi a referto 42 in totale scioltezza.

La partita in cui Mills ha sofferto maggiormente è stata quella contro l’Italia, quando – a causa del lavoro di Vitali, Pajola, Tonut e Melli – il leader degli australiani non è riuscito a trovare spazio per i suoi fulminanti arresti e tiro. Lo stesso discorso è valso per il primo tempo contro la Germania (Obst ha retto per due quarti, poi ha ceduto) e per i vorticosi e atletici cambi sistematici degli Stati Uniti.
Nelle altre partite, invece, Mills è stato eccellente nel capire quando e come mordere la preda alla giugulare: lo ha fatto contro l’Argentina al termine del secondo quarto per arginare l’estro di Campazzo; lo ha fatto contro la Slovenia da inizio partita ben conscio della batosta psicologica di Doncic e compagni subita in semifinale; lo ha fatto contro Germania, Nigeria e in parte Italia, quando nel quarto quarto il deficit di talento complessivo tra le due squadre era sempre più difficile da nascondere.
La candidatura al miglior quintetto di Tokyo 2020, visto tutto quello che ha combinato, non è mai stata in discussione. La sua grinta e la sua classe sono stati i simboli dell’Australia che finalmente ha raggiunto il primo podio olimpico nella pallacanestro della propria storia.
Ala piccola/playmaker: Luka Doncic – Slovenia
L’ennesimo torneo della consacrazione di Luka Doncic, semplicemente dominante fino alla semifinale poi fatale con la Francia, partita che ha chiuso il filotto di 17 vittorie senza sconfitte del numero 77 con la canotta della propria Nazionale. Per le mere cifre siamo a 23.8 punti (3° in tutto il torneo), 9.7 rimbalzi (2°), 9.5 assist (1°) e 29.2 di valutazione (1°) a partita. Stratosferico.
Proprio nella sconfitta in semifinale Luka ha siglato una tripla doppia (16 punti, 18 assist e 10 rimbalzi, l’ultimo dei quali raccolto proprio appena prima della stoppata decisiva di Batum su Prepelic), traguardo raggiunto alle Olimpiadi solo da LeBron James a Londra 2012 e da Sergey Belov a Montreal 1976. Mettere assieme queste cifre in campo FIBA fanno capire quanto tutta la Slovenia, nel bene e nel male, fosse totalmente dipendente dalla propria stella. Proprio questo tratto, tuttavia, ha portato la formazione di Sekulic a finire idee e benzina nel secondo tempo contro la Francia. Anche la finalina per il terzo posto è stata uno specchio di che razza di fenomeno sia Luka Doncic: 22 punti, 7 assist, 8 rimbalzi, 8 palle perse, infinite proteste contro gli arbitri, atteggiamento “svogliato” e contraccolpo psicologico del KO di due giorni prima non digerito al meglio.

Trattato il lato oscuro della luna, per quanto riguarda il versante illuminato del pianeta Doncic non si può che restare affascinati dal mix di talento ed esperienza letteralmente incredibile per un classe ’99. I 48 punti contro l’Argentina al debutto – seconda migliore prestazione individuale di sempre per punti segnati alle Olimpiadi dietro i 55 di Oscar Schmidt -, il dominio in ciabatte contro il Giappone, la Spagna domata nonostante una splendida difesa box&one (in pratica solo Doncic era marcato a uomo, spesso da Claver, e gli altri quattro erano a zona a “quadrato”) pronta a raddoppiarlo, il fantastico secondo tempo contro la Germania quando ha fatto impazzire i lunghi tedeschi sui cambi difensivi.
Se riuscisse a limare quell’atteggiamento a tratti indisponente durante le partite, ecco che allora questa medaglia di legno diventerebbe solo uno step intermedio prima di raggiungere altri traguardi inimmaginabili per una Nazione così piccola come la Slovenia.
Ala grande: Kevin Durant – USA
Probabilmente quello che stiamo vedendo negli ultimi mesi è il miglior Kevin Durant mai visto con una palla a spicchi tra le mani (e non dimentichiamo che si è anche rotto un tendine d’Achille poco più di due anni fa). Non c’è bisogno di esplicare perché l’aggettivo “immarcabile” fa coppia perfetta con il suo nome. Non esiste al mondo un essere umano con quelle leve, quella tecnica, quel rilascio, quelle proprietà in palleggio, quell’eleganza e quella leggerezza. Aggiungiamoci anche il fatto che questo Durant ha ora quella leadership che tanto è stata messa in discussione negli anni addietro.

Tralasciando la fase a gironi giocata senza neanche sudare né da lui né dagli interi Stati Uniti, contro la Spagna ha deciso che nel secondo tempo non si doveva giocare più. Triple, penetrazioni, scarichi, sprazzi di scivolamenti difensivi celestiali e iberici cancellati. Il canovaccio non è cambiato troppo contro l’Australia: Thybulle, Landale e soprattutto Nick Kay hanno lavorato contro di lui in maniera quasi impeccabile. Ma quando KD vuole segnare, non c’è alcun avversario che tenga. In finale, i francesi ci hanno provato con Batum e Luwawu-Cabarrot ma, stavolta grazie a un primo tempo che di umano ha ben poco, neanche stavolta il finale ha avuto un epilogo diverso.
29 punti alla Spagna, 23 all’Australia e 29 alla Francia, con il 63% nel tiro da due e il 42% da tre. È diventato il miglior marcatore nella storia degli Stati Uniti alle Olimpiadi, si è messo al collo il terzo oro olimpico, ha vinto il premio di MVP del torneo olimpico maschile e ha appena rinnovato con i Brooklyn Nets per altri 4 anni. Diciamo che nell’ultima settimana Durant si è divertito e ci ha fatto divertire.
Centro: Rudy Gobert – Francia
È il meno appariscente tra quelli nel miglior quintetto ma Rudy Gobert è stato probabilmente il francese con il rendimento più continuo (Fournier e De Colo hanno, al contrario, alternato momenti spettacolari ad altri più difficili specialmente nella metà campo difensiva).

Coach Collet, sfruttando la regola FIBA che permette a un giocatore di sostare in area per tutto il tempo che vuole (al contrario di quanto accade in NBA, dove si può restare consecutivamente nel pitturato solo per 3 secondi), ha deciso di utilizzarlo soprattutto in contenimento del ferro, lasciando spazio sul pick and roll ai tiri da tre (vedi USA e Italia con il “pop” dei nostri Melli, Gallinari, Ricci e Polonara) e al mid-range agli avversari (cavalcato moltissimo da Doncic in semifinale). Nei finali di partita, tuttavia, Gobert ha accettato i cambi sugli esterni, dando così sfoggio di una mobilità insensata per un gigante di 216 cm con quelle leve. In attacco, è stato molto bravo nei roll a canestro e nel “cinturare” i piccoli che si trovavano ad arginarlo in emergenza. Gobert sa di non avere un armamentario offensivo molto ampio e quindi difficilmente lo si vedrà tentare qualche avventura palla in mano. Con degli handler del livello di De Colo, Fournier ed Heurtel, tuttavia, gli basta saper fare benissimo quelle poche richieste dalla squadra per rendersi utile alla causa.
Per le cifre siamo a “solo” 10.2 punti, 9.4 rimbalzi (4° nel torneo) e 0.8 stoppate. Rudy, però, è un giocatore che va ben oltre le statistiche, data la sua capacità di stravolgere i game-plans offensivi degli avversari. Ahinoi, gli uomini di Meo Sacchetti ne sanno qualcosa… Gobert e il suo backup, la sorpresa Moustapha Fall, sono stati due segreti tra i principali segreti di Pulcinella che hanno permesso ai transalpini di agguantare una prestigiosissima medaglia d’argento.
Menzioni d’onore
Simone Fontecchio – Italia
Sicuramente siamo di parte, ma quello che ha fatto Simone Fontecchio a Tokyo ha fatto sbrilluccicare gli occhi anche di scout ed esperti di tutto il mondo. Resta ancora difficile da spiegare un cambio di rotta di carriera così repentino: un anno fa, l’abruzzese aveva accolto con entusiasmo la prima esperienza all’estero della sua vita, dato che in nessun top team italiano era riuscito a ritagliarsi il suo spazio. L’ALBA Berlino sembrava la destinazione perfetta per lui, vista la piazza poco “esigente” e un sistema di gioco spumeggiante, dai ritmi altissimi e che sfrutta al massimo la forza del collettivo. Il tutto poi è sotto il controllo del direttore d’orchestra Aito Garcia, colui che ha alimentato in Fontecchio una sicurezza in se stesso mai sbocciata sino ad allora.

A Tokyo Simone è riuscito a fare ancora meglio. Negli occhi resta la parabola iper-arcuata contro le braccia protese di Gobert che ha ispirato la rimonta nel quarto periodo contro la Francia, i tiri in transizione presi contro la Nigeria, la costanza nel martoriare Ingles e Thybulle contro l’Australia, gli scultorei movimenti che hanno annientato molti dei suoi ormai ex compagni di club della Germania. La concretezza e la qualità del rilascio dei suoi dardi sono testimoniati da uno straordinario 50% nel tiro da tre su 5.3 tentativi a partita.
Nessuno avrebbe ipotizzato 365 giorni fa che Simone Fontecchio sarebbe stato il nono miglior marcatore delle Olimpiadi con 18 punti siglati di media. Davanti a lui, in questa speciale classifica, ci sono solo giocatori che militano o hanno militato in NBA: Mills, Rubio, Doncic, Hachimura, Nwora, Durant, Scola e Fournier. Basta questo per capire di che razza di realizzatore si stia parlando, no?
Luis Scola – Argentina
Lo abbiamo anche coinvolto nel nostro podcast e, onestamente, sull’uomo Scola non c’è proprio nulla da eccepire. Un Campione, un giocatore che si è saputo adattare all’evoluzione del ruolo di lungo e di giocatore, abbracciando sfide che solo Leggende del suo livello accettano.
Mettendo per un attimo da parte la sua storia e le emozioni nel vederlo ancora sudare per quella canotta che tanto ama, Luis Scola è stato realmente il giocatore migliore dell’Argentina a 41 anni suonati con 19.7 punti segnati di media, tirando con il 43.8% da tre punti (a proposito di miglioramenti nel corso della carriera) e il 75% ai liberi. Sebbene in difesa si sia dovuto arrangiare ogni volta – ben sapendo, tra l’altro, che anche i compagni prediligevano l’altra metà campo -, El Capitàn l’ha spiegata ancora dal post, dalla punta, servendo i compagni in back-door e danzando sul perno come ha fatto per più di 20 anni. Proprio perché l’Argentina era, è e sarà dipendente dalle prestazioni di Facundo Campazzo (che si è autoeliminato nella sfida fondamentale contro la Spagna), Luis è stata la costante, l’àncora su cui l’intera Albiceleste si è appoggiata nei momenti di difficoltà.

Il -38 subito ai quarti contro l’Australia è stato lo scherzo di un destino fin troppo brutale nello sbattergli in faccia in questo modo i titoli di coda della sua carriera. Essendo però in pieno garbage time, tutti i (pochi) presenti si sono potuti alzare per dedicargli una lunga e commovente standing ovation, quella con cui lo salutiamo anche noi. ¡Gracias Luis!
A standing ovation for one of the greatest to ever do it.
— FIBA | #Basketball #Tokyo2020 (@FIBA) August 3, 2021
Thank you, @LScola4! 🐐🇦🇷#Tokyo2020 | #Basketball pic.twitter.com/i1Jl9UPe3a