“I have to be the best, I have to be the best.”
La voce dentro la testa di Breanna Stewart continua a ripeterle questa frase ogni giorno.
Devo essere la migliore.
Quella voce la aiuta a motivarsi, a inseguire costantemente la perfezione. Le ricorda di cercare sempre nuovi stimoli. Ogni giorno, una nuova sfida, che siano le quotidiane cento triple, dieci consecutive da dieci punti differenti, prima di lasciare la palestra o che sia la scalata verso la vetta della WNBA dopo quasi un anno di stop. L’importante per Breanna è agire sempre con un obiettivo in mente, consapevole di avere i mezzi necessari per raggiungerlo.
Grazie a questa mentalità Breanna Stewart ha disegnato la sua carriera seguendo un piacevole leitmotiv di sottofondo: la vittoria. Attualmente Breanna è campionessa WNBA in carica e MVP delle Finals, ma anche campionessa di Eurolega in carica e MVP delle Final Four. Negli ultimi dieci mesi si è portata a casa i trofei delle due principali competizioni del mondo e lo ha fatto dominando: 25,7 punti, 7,8 rimbalzi e 1,7 stoppate di media a partita negli ultimi playoff WNBA con le Seattle Storm e 12,7 punti, 6,1 rimbalzi e 1,1 stoppate nell’ultima stagione di Eurolega con Ekaterinburg.
Il suo palmarès è fatto da premi di ogni tipo: che sia al college, in WNBA, in Europa o con Team USA, Breanna Stewart ha vinto almeno una volta tutte le competizioni a cui ha partecipato. A ragione, molti scommettono che diventerà la giocatrice più vincente della storia, avendo compiuto appena 27 anni.
“Stewie wins another ring” è una frase che racconta un evento talmente comune da essere diventato ormai quasi un’abitudine, una straordinaria normalità che non può mai smettere di stupire. A rendere Breanna Stewart una figura così unica nello sport statunitense, tuttavia, non è solo questo. La carriera di Stewie non è un “semplice” susseguirsi di trofei, ma anche un percorso di ricerca e scoperta della sua voce, un cammino prima di tutto interiore e poi messo a servizio degli altri, delle lotte e delle tematiche che più hanno toccato la sua esperienza personale. Senza le sue scelte e le sue battaglie fuori dai 28 metri non si avrebbe mai quella leader dominante, versatile e vincente che da cinque anni ha rivoluzionato la lega a tal punto da diventarne il simbolo.

Around the block
A Syracuse, New York, è facile innamorarsi della pallacanestro. L’università che ha sede in città vanta una delle squadre più importanti del paese, che ha raggiunto il punto più alto quando nel 2003 Carmelo Anthony l’ha portata sul tetto della NCAA. In quell’anno, Breanna Stewart ha nove anni, vive a Syracuse con la madre e il padre adottivo ed è ancora una ragazzina timida e riservata, con un fisico alto e magrissimo che svetta nelle foto di squadra e che la porta a scegliere il basket rispetto al calcio.
Le chilometriche braccia sono sempre distese lungo i fianchi, quasi a cercare di scomparire in quel corpo così grande per la sua età. Quelle braccia sono però anche la sua arma migliore sul parquet, perché Breanna cresce giocando da centro, con il compito di prendere rimbalzi sotto canestro e stoppare quanti più palloni possibili. Il suo dominio in quella zona del campo è incontestabile e il suo essere taciturna non è un ostacolo particolarmente grande, dato che i numeri parlano da soli: quasi 20 punti di media a partita, con 11,7 rimbalzi e addirittura 5,3 stoppate.
Brian Stewart, il padre adottivo di Breanna, crede però che il gioco della ragazza possa ambire a una maggiore completezza e la sprona a migliorarsi nel palleggio. Seguendo i suoi consigli, Breanna inizia a esercitarsi intorno casa, fino a riuscire a portare a termine il giro dell’isolato palleggiando sotto le gambe o dietro la schiena senza fermarsi mai. Questa routine quotidiana la aiuta a sviluppare una considerevole capacità di ball handling, che diventa un’arma in più da usare sul campo. Il vantaggio fisico che ha rispetto a gran parte delle ragazze della sua età e la sua versatilità fanno sì che Breanna diventi la principale soluzione offensiva della sua squadra. Grazie anche ai due titoli statali che porta a casa al liceo, si guadagna la chiamata di UConn, tempio del basket collegiale femminile.
Quando arriva a Storrs, Connecticut, Breanna parla poco, ma ha una forte determinazione dentro di lei. Lo dimostrano le parole con cui si rivolge per la prima volta a coach Geno Auriemma, che siede su quella panchina dal 1985 e che ha cresciuto praticamente tutti i più grandi talenti del basket femminile contemporaneo. “Sono qui per vincere quattro titoli. Perché non dovrei vincere quattro titoli?” Auriemma pensa di avere davanti a sé una ragazzina arrogante e viziata, abituata a pretendere tutto e subito. Nel giro di poco tempo si rende però conto dell’esorbitante determinazione e dell’incrollabile fiducia nei propri mezzi che hanno ispirato quelle parole. Nonostante abbia solo 18 anni, Breanna ha già la mentalità di una campionessa: non spera che le cose accadano, ma approccia ogni sfida con la ferrea convinzione che nessun obiettivo, per quanto grande sia, sia irraggiungibile.

La prima parte di stagione del suo freshman year non è semplice, a causa delle difficoltà di adattamento al nuovo contesto. La svolta arriva quando a marzo inizia a lavorare individualmente sul tiro e sul gioco in post, riuscendo ad assecondare le richieste che le vengono fatte: spostarsi un po’ da canestro e provare a giocare anche da power forward. Da quel momento Breanna non si ferma praticamente più: in quattro anni porta a casa quattro titoli NCAA e quattro trofei di Most Outstanding Player del torneo, impresa mai riuscita a nessuna giocatrice o a nessun giocatore che abbia calcato il parquet del college basket.
Chiude i quattro anni a 18 punti, 8 rimbalzi e 2.8 stoppate di media a partita, tirando con il 53,5% dal campo e il 37,3% da tre. Le responsabilità che derivano dall’essere la leader tecnica della squadra la fanno crescere anche dal punto di vista emotivo e le porte della WNBA si spalancano davanti a lei.
Quando le Seattle Storm la chiamano con la prima scelta assoluta al Draft del 2016, la squadra si sta ricostruendo dopo l’addio di Lauren Jackson nel 2012. Le Storm puntano a rinvigorire l’anima cestistica di Seattle, che ha subito un duro colpo dopo l’addio dei Sonics nel 2009. La dirigenza ha l’ambizioso progetto di riportare nel freddo e piovoso nord ovest un titolo che manca dal 2010 e per tentare la scalata Breanna Stewart sembra l’ingrediente perfetto da affiancare allo smisurato talento di Sue Bird. I primi due anni sono però molto difficili: nonostante il premio di Rookie of the Year nel 2016 e il primo All-Star Game nel 2017, le Storm chiudono sempre con dei record negativi (16-18 e 15-19) e per due anni consecutivi vengono eliminate al primo turno dei playoff, prima dalle Atlanta Dream e poi dalle Phoenix Mercury.
Forse per la prima volta nella sua carriera, Breanna fa i conti con la sconfitta e non sopporta la sensazione di fallimento che ne deriva. Determinata a non volerla provare mai più, approccia il 2018 con la ferma convinzione che quella che ha davanti sarà la sua prima MVP season. La voce nella sua testa che le intima di essere la migliore si fa ancora più forte perché Breanna sa che alle Storm serve la sua miglior versione per fare il salto di qualità. Per prepararsi alla stagione inizia a seguire una dieta ferrea e a fare allenamenti specifici e personalizzati, ma il vero salto che fa nel 2018 è mentale.
Me too
La sua maturazione cestistica passa inevitabilmente dalla fiducia in se stessa e per acquisirla totalmente ha bisogno di mostrarsi al mondo senza filtri, di far conoscere Stewie prima di Breanna Stewart. Sull’onda del movimento MeToo, il 30 ottobre 2017 racconta la sua storia su The Players’ Tribune, rivelando che dai nove agli undici anni è stata vittima di abusi sessuali da parte di un membro della sua famiglia. L’impatto che la storia ha è enorme e nonostante Breanna si trovi in Cina, dagli USA arrivano tante voci di persone che la ringraziano, perché attraverso il suo racconto hanno trovato la forza di parlare a loro volta.
“Volevo raccontare la mia storia affinché potesse aiutare qualcun altro. Sì, sono una grande giocatrice di pallacanestro, ma quello che ho vissuto ora lo stanno vivendo altre persone. Nessuno è invincibile alla vita. Il vero messaggio che volevo trasmettere è che ci si può riprendere dal trauma di cui si è fatta esperienza.” Quando Breanna sceglie di raccontare la sua storia, lo fa per cercare di far cadere quei muri che portavano le persone a essere sempre a un passo di distanza da lei, senza raggiungerla mai. La sua sincerità, ha ammesso, le ha consentito di lasciare entrare il mondo esterno all’interno della sua storia, creando un legame con chi aveva vissuto esperienze simili e spronando chi non aveva ancora trovato il coraggio di farlo a parlare e a denunciare.
Il suo percorso di maturazione come donna e come atleta passa dal mostrarsi vulnerabile, dal parlare al mondo in maniera genuina, diretta e senza intermediari, di una parte di sé che inevitabilmente ha plasmato la sua identità. Come lei stessa ha ammesso, prima di raccontarsi nella sua interezza ha impiegato diverso tempo, ma quando ha trovato il coraggio di farlo si è sentita cambiata, per la prima volta a suo agio con se stessa e libera da un macigno che da anni le pesava dentro. “E ora posso finalmente dormire” è la frase che chiude il pezzo.
Breanna non vuole che questo avvenimento la definisca più di quanto lo faccia il suo gioco perché entrambe le cose sono parte di lei. Raccontare la sua storia per accettarla come parte di sé ha permesso a Stewie di sviluppare una rinnovata fiducia nella sua persona, che si è riversata tutta sul campo da basket. “Quando mi sono aperta agli altri sulla storia della mia vita potevo pensare solo a giocare a basket” ha affermato.

MVP
Riconciliata con se stessa, Breanna è pronta a prendere gradualmente il testimone di Sue Bird nel ruolo di leader delle Storm e le compagne la accettano come tale, fidandosi e lasciandosi consigliare e motivare da lei. Seattle prova a invertire la rotta cambiando allenatore: Dan Hughes, che ha allenato per nove anni le San Antonio Stars, subentra a Jenny Boucek e a livello di squadra l’aggiunta fondamentale è quella di Natasha Howard, che a fine stagione si porterà a casa il premio di Most Improved Player. Per il resto, il roster resta pressoché invariato, ma a fare la differenza è il modo in cui Breanna Stewart riesce a trasmettere la motivazione che ha dentro alle persone con cui condivide il campo, facendo così salire considerevolmente il livello della squadra.
Le Storm chiudono con un record di 26-8 e si guadagnano la prima testa di serie in vista dei playoff. Dopo una semifinale complicata contro Phoenix, dove servono cinque partite per avere la meglio su Diana Taurasi e compagne, Seattle non fa sconti: 3-0 secco in finale alle Washington Mystics e titolo che ritorna in città dopo otto anni. Neanche a dirlo, Breanna ha mantenuto la sua promessa e non solo è l’MVP del campionato, ma anche la miglior giocatrice delle Finals.
Chiude la stagione con 21,8 punti di media, tirando con il 52,9% dal campo e il 41,5% da tre. A questo si aggiungono 8,4 rimbalzi, 2,5 assist, 1,4 rubate e 1,4 stoppate a partita, con una versatilità nel gioco che di fatto sintetizza tutto quello che si può fare con una palla a spicchi fra le mani e che esemplifica la tendenza verso un basket sempre più positionless. La sua altezza e i suoi 216 cm di apertura alare le consentono di essere una delle migliori rimbalziste della lega, di stoppare diversi tiri e di recuperare palloni anche in difesa (1,32 di media in carriera). Ha la stazza e la forza per giocare bene in post, ma anche la velocità e la coordinazione di un’ala.
Il suo gioco dal perimetro è efficace quanto quello di una guardia (37% da tre in carriera) e i suoi 194 centimetri non le impediscono di avere anche una buona coordinazione. Questo significa che può portare palla e andare in penetrazione, creando mismatch favorevoli quasi contro chiunque. Il tutto, poi, è fatto con una straordinaria naturalezza, come se Breanna non facesse nessun tipo di sforzo nel giocare, come se quei gesti fossero la cosa più elementare e semplice del mondo. Il suo sguardo è imperscrutabile, non trasmette nessuna emozione e i suoi movimenti sono fluidi, pazienti. Non potrebbe essere altrimenti, perché Breanna ormai ha in mano le redini del gioco, sa pilotare gli umori delle sue compagne e ha una certezza in più dalla sua parte: è la miglior giocatrice di pallacanestro del pianeta.
Nel 2018 la carriera di Breanna è all’apice: in quello stesso anno si porta a casa anche i mondiali con la maglia di Team USA e per la terza volta vince il premio di USA Basketball Athlete of the Year. È in un momento in cui davanti a sé non vede limiti, perché ha già vinto quanto una veterana, ma di anni ne ha solo 24. Nel 2019 raggiunge la sua prima finale di Eurolega con le russe della Dinamo Kursk, ma è durante questa partita che tutto cambia.
A pochi secondi dalla fine del secondo quarto riceve un consegnato, palleggia e si alza per un jumper, ma riscendendo cade rovinosamente. Le urla di Breanna accasciata a terra raccontano un dolore che si può quasi percepire e la diagnosi è un colpo durissimo: rottura del tendine d’Achille e fuori a tempo indeterminato. Breanna è costretta a saltare tutta la stagione WNBA 2019 e tutta quella solidità, quella fiducia e quel livello di pallacanestro che aveva raggiunto negli anni sembrano venire meno.
Don’t forget the girls
Il momento di difficoltà per Breanna Stewart è ancora l’occasione per riflettere e per analizzare il suo percorso come atleta e come persona all’interno di una comunità. Nell’anno in cui non gioca, la WNBA le firma un contratto come ambasciatrice della lega e Stewie si impegna nella lotta per l’uguaglianza di genere.
Per ritrovare la motivazione necessaria a risollevarsi da un infortunio che ha messo fine a tante brillanti carriere, proietta nella sua testa un’immagine, cioè quella delle bambine che verranno dopo di lei. Breanna vuole diventare per loro un modello, la dimostrazione empirica che esistono anche tante sportive di successo. La sua speranza è che un giorno quelle bambine potranno avere un accesso più facile e più confortevole allo sport senza dover fare i conti con i pregiudizi che da sempre accompagnano lo sport femminile. Per questo è in prima linea durante la firma del Collective Bargaining Agreement nel 2020, un accordo tra le giocatrici e la lega che ha permesso alcune importanti conquiste: non solo l’aumento dei salari e migliori comfort riservati alle giocatrici durante i viaggi e le trasferte, ma anche il 100% del salario in caso di maternità e maggiori risorse per la cura della salute mentale.
Come già aveva dichiarato quando, nel 2016, aveva vinto un ESPY per il suo impegno per la parità di genere, l’obiettivo di Stewie e quello di tutte le giocatrici della lega è creare un campionato che sviluppi al meglio il proprio potenziale, che diventi un contesto interessante per sponsor, televisioni e fan e che, soprattutto, rappresenti un modello di sport inclusivo, aperto e in costante dialogo con la società.

Breanna Stewart ha cercato di diventare, nel tempo, una voce per coloro che non l’avevano. Lo ha fatto esponendosi personalmente e si è fatta ascoltare attraverso l’unica via percorribile se si vogliono raggiungere certi standard: vincendo. La stagione 2020 nella bolla si è conclusa a 19,7 punti e 8,3 rimbalzi di media, con un titolo WNBA in tasca e il premio di MVP delle Finals.
Non era assolutamente certo né scontato, eppure Breanna è tornata prepotentemente ai livelli precedenti all’infortunio, risultando la giocatrice più dominante sul parquet dopo circa otto mesi di stop. In questa stagione le sue Storm hanno il terzo miglior record della lega, si sono assicurate un posto ai playoff e giocano con un obiettivo ben chiaro in testa: il primo back-to-back della storia della franchigia. Attualmente Breanna viaggia in doppia doppia di media ed è probabilmente la giocatrice più in vista di una lega che sta attraversando un periodo di popolarità senza precedenti.
Anche la Puma ha voluto celebrare la sua grandezza, scegliendo di intitolarle una signature shoe, ovvero una linea di scarpe da basket disegnata da lei e ispirata alla sua storia e al suo gioco. Nel video con cui ha annunciato la notizia, Breanna ripercorre le strade dell’isolato intorno casa sua, quelle da cui tutto è iniziato. “Spero che la mia storia possa ispirare le generazioni future, affinché tutti e tutte possano trovare il loro isolato e vedere quanto lontano può portare”, narra mentre scorrono le immagini dei suoi palleggi.
Quella bambina timida e riservata con le braccia distese lungo i fianchi ha finalmente trovato la sua voce ed è diventata un punto di riferimento per chiunque stia cercando di far uscire la propria. Dentro la sua testa la sua, di voce, continua a risuonare: “Devo essere la migliore”. Probabilmente sul campo lo è già, ma continuerà comunque a ripeterselo perché tutto, nella mente della numero 30, è perfettibile. A bordo di quel campo, poi, ci sono tante bambine che la guardano con gli occhi pieni di ammirazione: il prossimo jumper, la prossima vittoria e il prossimo anello saranno per loro.