Terrell McIntyre, il numero 5 della Mens Sana Siena
Un cognome e un numero per identificare il campione (Ciamillo-Castoria)

Terrell ha detto 10, e 10 sia

Un viaggio nella carriera di Terrell McIntyre, detentore di un record a dir poco imbattibile.

Quella partita è stata un po’ insolita per noi. Giocavamo in casa della Virtus e quindi siamo andati alla Unipol Arena direttamente prima della partita: non siamo arrivati la notte precedente a Bologna, perché era a venti minuti di distanza da Reggio Emilia. Quando siamo arrivati c’era una specie di partita per bambini prima della nostra, quindi ci siamo seduti sugli spalti. È stato strano. Non ci siamo allenati in mattinata, non abbiamo tirato; siamo semplicemente andati alla partita e ci siamo riscaldati, preparandoci per giocare. Ma era tutto il giorno che mi sentivo bene”. Terrell McIntyre è seduto sulle gradinate del tifo bianconero, e con lui dovete immaginarvi la faccia da bravo ragazzo che si trasformava in dinamite in campo di Ricky Minard, mister tripla doppia Joey Beard – ultimo italiano a totalizzarne due prima dell’attuale stagione da capogiro di Andrea Cinciarini – e i 211 centimetri di Angelo Gigli.

Non nel più stretto dei sensi per il termine “derby”, ma la si può considerare un abbozzo di stracittadina. Le due bolognesi si sono già affrontate sia al PalaDozza (93-81 per la F) che alla Unipol Arena (84-86 e 2/2 stagionale per la F), e Reggio Emilia ha già concluso gli incontri stagionali con la Fortitudo – una vittoria a testa, con il 97-96 bolognese di qualche settimana prima che ha lasciato i biancorossi con qualche capello grigio in più. Dunque, il 22 aprile 2006 va in scena l’ultimo confronto emiliano della stagione.

La partita dei ragazzi finisce, così la Bipop Carire allenata da Fabrizio Frates può andare negli spogliatoi a cambiarsi. Scendono in campo (“Entrai in campo, mi rilassai, mi gustai l’atmosfera dell’impianto e cominciai a tirare da solo”, dice a Stefano Benzoni di Superbasket in un’intervista del 2011) e iniziano i preparativi per il grande ballo, uno degli ultimi della stagione. Il numero 20 veniva da un discreto periodo di forma: dieci partite consecutive in doppia cifra, con numeri importanti contro Fortitudo (34 punti e 7/11 dall’arco), Treviso (26 punti) e Varese (33 punti e 6/10 dal perimetro). Insomma, lo si conosce. Ma non abbastanza.

Nel campionato dei grandi allenatori del passato e di quelli che verranno (Repesa, Blatt, Recalcati, Pesic e Djordjevic, ma anche un Walter De Raffaele alle prime esperienze), in una stagione dove lasciano il segno americani come Lynn Greer, David Bluthenthal, Joe Crispin, Damon Williams, Devonte Holland e Marcus Goree, tra gli altri, il connazionale reduce dalla promozione nella massima serie con Capo d’Orlando inizia a farsi notare. Terrell McIntyre lascia gli avversari con il mal di testa come briciole di pane per non smarrire la via di casa, anche se in quella giornata il viaggio era durato davvero poco.

Assimilabile a quello che l’aveva portato da Fayetteville a Clemson per l’avventura collegiale a stelle e strisce, ma sicuramente in contrasto con la traversata oceanica che lo porta a un viaggio andata e ritorno con l’Europa, in Francia prima e Germania poi, a cavallo tra i due secoli: “La mia squadra in Germania (il Braunschweig, dove va vicino ai 20 punti di media, in cui era arrivato dopo un’annata con i transalpini del Gravelines, ndr), durante la mia seconda stagione in Europa, era fallita. Ero giovane, 22 anni, e avevo nostalgia di casa: non ero mai stato lontano dai miei amici e familiari. Ho avuto cinque offerte in Europa quando la squadra è fallita: stavo giocando bene in Germania, con una media di circa 18 o 19 punti a partita, ma avevo nostalgia di casa. Ho deciso di tornare a casa per poi alla fine capire cosa fare in estate e l’opportunità in D-League è arrivata da lì. Giocavo vicino alla mia città natale e in fondo sapevo che volevo dare all’NBA un’altra possibilità; quindi, ho pensato che fosse la strada migliore per farlo in quel momento. Ho finito per passare due anni lì: ero abbastanza vicino al grande obiettivo, ma come sappiamo non è andata come speravo. Durante il secondo anno nella D-League sapevo che se non avessi avuto una convocazione in NBA sarei andato a giocare nella Summer League, in modo che le squadre europee potessero vedermi per farmi delle proposte e tornare a giocare overseas”. E, infatti, ci torna.

I due anni ai Fayeteville Patriots fanno tornare alla mente degli statunitensi quello che Boogie era in grado di fare a Clemson, dove ora è tornato per fare il Player Development Coach e per spiegarla ancora. Oggi, il Terrell McIntyre che siede sulla panchina invece che in campo, ha tutti gli ingredienti per la ricetta perfetta dei prossimi ragazzi pronti a dominare: “Ho sempre voluto rimanere nel basket dopo il ritiro e una cosa che mi aiuta in questo ruolo, che mi si adatta perfettamente, è che sono sempre stato interessato allo sviluppo del mio gioco. Ho lavorato molto duramente in estate per assicurarmi che le mie abilità fossero fuori dal comune, ho rinunciato ad alcune cose fuori dal campo e ho fatto sì che tutto fosse in ordine. Durante l’estate cercavo di segnare praticamente mille tiri al giorno, perché sapevo che il pick&roll era davvero una grande parte del mio gioco e stava iniziando a essere una componente importante dell’attacco in Europa. Questo è quello che faccio ora a Clemson come Player Development Coach. Non si tratta solo di basket, perché l’obiettivo è aiutare questi giovani uomini a crescere per diventare uomini, per capire successivamente che cosa significhi spostarsi dal college al mondo dei professionisti. Alla loro età, dunque dai 18 ai 22 anni, è fondamentale aiutarli per renderli uomini e svilupparli come persone. Va oltre la pallacanestro”.

Una leggenda come Terrell McIntyre merita di essere considerata tale

È lì a Clemson che si è forgiato, con quattro anni in cui è diventato il secondo scorer all-time dei Tigers, prendendo appunti su quello che sarebbe stato l’esame più impegnativo della sua carriera: “Ricordo era difficile affrontare ogni squadra al college, tutti sono fantastici nell’ACC: mi ha davvero preparato per quando ho avuto l’opportunità di giocare in Eurolega. Ogni squadra lì è dura e io ero già abituato per quello che avevo incontrato nel mio cammino negli Stati Uniti. Si trattava solo di ottenere l’opportunità di farlo, perché non avevo paura di determinati momenti, squadre o giocatori. Ero preparato per quello che ho passato al college”. L’esame più tosto, che passerà ma senza la lode del titolo, non è l’NBA; e per arrivarci, Terrell McIntyre riparte dal basso nel Vecchio Continente, entrando dall’ingresso secondario.

Arrivano due annate consecutive in A2, ma se con Ferrara si era trattato di un ambientamento calmo, come un atterraggio reduce da poche turbolenze in volo, la seconda delle due esperienze parte con degli auspici poco convenzionali. Se infatti prendete americani come Brian Oliver, il compianto Rolando Howell, Ryan Hoover e Terrell McIntyre, piazzandoli in un paesino siciliano di poco più di diecimila anime, quello che in molti si aspetterebbero è l’incipit di una barzelletta che strappi più di un sorriso. Invece, quella Capo d’Orlando apre le ali verso il continente e con un record di 27-3 corona il sogno Serie A.

Terrell chiude con 18.7 punti, 4.7 assist e 3.3 rimbalzi per partita una delle annate più incredibili della sua carriera. Se non la più incredibile: “Quello che la gente non sa è che ho avuto offerte di prima divisione dopo Ferrara da diversi paesi, ma ho deciso di tornare in seconda divisione. Pensavo che avremmo potuto vincere con la squadra che avevamo e che era stata messa insieme. Questo è stato un mio grande obiettivo, in tutte le squadre in cui ho giocato: volevo vincere, solo vincere. Non volevo spostarmi in cerca di soldi dicendo solamente “sto giocando”. Volevo vincere, perché mi piaceva vincere: è per questo che ho giocato a livello professionale. Ho deciso di tornare in A2 e abbiamo avuto un grande anno, uno dei migliori che ho avuto in Europa. Giocare in quel gruppo è stato divertentissimo e penso che sia stata la prima squadra in cui ho giocato che vantava tanti ottimi giocatori: Ryan Hoover, Brian Oliver, Orlando Howell, Brian Montonati. E abbiamo avuto i ragazzi provenienti dalla panchina: Marco (Caprari, ndr) potrebbe davvero sparare il basket. Ognuno di quei cinque ragazzi potevano prendere in mano la partita: era una sensazione unica e diversa da quello a cui ero abituato. Abbiamo fatto una grande annata quell’anno, abbiamo perso solo tre partite collezionando un record pazzesco e abbiamo portato Capo d’Orlando in Serie A. Brian Oliver lavora con l’ACC Network qui, dunque lo vedo un paio di volte l’anno quando fa le nostre partite. L’ho visto un mese fa e abbiamo parlato di quella stagione a Capo d’Orlando. La mia carriera è decollata da lì”.

Terrell è seduto sugli spalti della Unipol Arena. Chissà a cosa pensa. Chissà cosa gli passa per la testa quando scende in campo, fa due tiri ed è subito palla a due. Saltano Kris Lang e Benjamin Ortner. Il primo pallone lo controlla proprio McIntyre. Chissà se sa che a fine partita il suo nome sarebbe entrato nella storia del campionato. Perché una dopo l’altra, la prima e la seconda uscendo dai blocchi, la terza dopo una grande circolazione di palla, la quarta e la quinta con dei movimenti in palleggio arresto e tiro da grande campione, le triple entrano. E non si fermano. Prima dell’intervallo arrivano anche la sesta in stepback e la settima sullo scadere del cronometro. Il primo tempo lo chiude a 23 punti, 7/7 dall’arco e 127.7% di true shooting.

L’ottava uscendo ancora dai blocchi, dopo che non tentava una tripla da quattordici minuti e eguagliando il record di 8/8 da tre punti finora in mano a Oscar Torres e David Rivers. La nona in contropiede e la decima con un canestro da mani nei capelli. Metteteci nel mentre anche uno slalom da medaglia d’oro in discesa libera e ammirate l’epilogo: 41 punti con dei liberi glaciali a segno che valgono la vittoria, oltre a un antologico 105.8% di true shooting.

McIntyre in Virtus Bologna-Reggio Emilia
Una delle triple di Terrell McIntyre nella serata del 10/10 (Ciamillo-Castoria)

Gli faccio una domanda semplice, la risposta gliela si legge già negli occhi: “Terrell, è questa la partita di cui parli sempre ai tuoi amici?”. Decidete voi se trarre un sì o un sì da ciò che mi risponde: “Questa è la partita che tutti ricordano, e giustamente. Al momento non mi rendevo conto della grandezza di ciò che fosse appena accaduto. 10/10… ora che sono più vecchio sono in grado di rifletterci su e pensare che è stato davvero molto difficile da fare (ride, ndr)! Dopo che ho fatto 3 o 4 triple, mi sono reso conto che mi sentivo davvero bene fisicamente e psicologicamente. Non ho realizzato che avevo fatto 10/10. Ho fatto un tiro vicino alla metà campo dopo che la sirena è suonata e mi hanno fatto fallo; quindi, quella non è stata registrata come una tripla sbagliata. In più la partita è stata tesissima, punto a punto, e siamo riusciti a portarla a casa solo nel finale con qualche tiro libero. Non ho avuto il tempo di pensarci. Una delle cose di cui sono probabilmente più orgoglioso di quella partita è che non ho forzato nulla: i miei compagni mi cercavano e tutto rientrava nelle migliori decisioni per il nostro attacco. Non era come se fossi là fuori a cercare e cercare di battere un record che non sapevo nemmeno esistesse: è successo solo in modo organico e naturale, e questa è la sensazione migliore. È stato uno di quei giorni in cui ho sentito che non potevo sbagliare niente. Potevo calciare la palla e sarebbe andata dentro. È incredibile che dopo 16 anni il record sia ancora intatto! 10/10 da tre punti è qualcosa di cui sono decisamente molto orgoglioso: quando parlo della mia carriera è sempre uno dei punti salienti. E continuerò a farlo”.

Quella partita lo mette sui radar di diverse compagini di alto livello in Europa, una su tutte il Real Madrid, che cerca di portarlo in Spagna. Ma preferisce passare ancora dall’Italia per arrivare all’esame finale, e c’è una sola squadra in Italia che glielo possa permettere: la Mens Sana Siena. Arriva in un gruppo che vanta nomi come Rimantas Kaukenas, Benjamin Eze e Shaun Stonerook, con aggiunta di altissimo livello del calibro di Romain Sato e Joseph Forte. E poi giocherà con Nikos Zizis, Drake Diener, Ksystof Lavrinovic e tanti altri. Ma il segreto, per Terrell, è sempre stato chi metteva insieme le tessere del puzzle: “Penso che una delle cose migliori di quelle squadre a Siena è che, anno dopo anno, abbiamo sempre avuto una chimica incredibilmente grande. Ci è piaciuto molto e ci siamo divertiti a stare e giocare insieme. È stata davvero una squadra, nel senso più profondo del termine. Ovviamente le vittorie dei campionati sono state fantastiche, ma quello che ricordo con più gioia erano gli allenamenti, semplicemente incredibili: chiunque poteva partire titolare e i nostri allenamenti, tutti i giorni, erano così competitivi che questo rendeva il rendimento in campo più facile, perché ci picchiavamo l’un l’altro trattando ogni allenamento come se fosse campionato o Eurolega: avevamo un sacco di scrimmage. Simone, Ale e Luca (Pianigiani, Magro e Banchi, ndr) hanno fatto un ottimo lavoro nell’organizzare partitelle in cui si potevano mischiare i giocatori. Non importava se giocassi con Joseph Forte, Rimas Kaukenas o Marco Carraretto: non importava, perché loro avevano alimentato in maniera incredibile la nostra chimica di squadra”.

Terrell McIntyre e Rimantas Kaukenas
Terrell McIntyre e Rimantas Kaukenas: un duo memorabile, con due discreti nomi sullo sfondo (Ciamillo-Castoria)

E se Magro ha definito Terrell McIntyre come “uno dei leader riconosciuti e per quella statura, per quella fisicità che poteva mettere riusciva a essere uno dei migliori in Europa. Il temperamento e la voglia di competere che aveva gli facevano fare delle prestazioni individuali e di squadra di altissimo livello”, le sue parole di stima per quei tre allenatori non finiscono: “Lo staff tecnico di Siena è senza dubbio uno dei migliori per cui abbia mai giocato. Mi hanno dato la possibilità di essere leader di una squadra. Sono stato un leader anche in altre squadre, ma nello specifico mi hanno dato tanta libertà: quali schemi posso chiamare, come vedo i miei compagni organizzati in campo? Non hanno mai detto no a una mia iniziativa, mi hanno lasciato gestire la squadra e decidere, fidandosi di me. È stato davvero un fattore di fiducia al 100% tra me e lo staff tecnico: questo è ciò che lo ha reso speciale”.

Arriveranno, in ordine: 4 Scudetti consecutivi, 2 Coppe Italia, 3 Supercoppe Italiane e un terzo posto in Eurolega, dopo che Terrell ne aveva piazzati 26 con 5 assist nella semifinale persa contro il Maccabi Tel Aviv. E, individualmente, giungono: 2 MVP della regular season e 3 MVP delle Finali Scudetto in Serie A – nessuno ne ha vinti così tanti da quando questo riconoscimento è stato introdotto -, 1 MVP in Supercoppa Italiana e l’inserimento per due anni consecutivi nel primo quintetto di Eurolega. Tante vittorie e tanti successi, con alcuni più speciali di altri: “Il mio primo Scudetto è stato emozionante. A Capo d’Orlando non abbiamo realmente giocato per il campionato, abbiamo dominato la stagione regolare. In tutti gli anni a Siena, per vincere dovevi superare tre serie di playoff. Il primo anno è stato particolarmente speciale perché abbiamo perso a Roma in casa e non eravamo sicuri che avremmo vinto il campionato. Ci hanno sorpreso ed è stata davvero una bella serie. Anche la mia ultima vittoria con loro nel 2010 è stata magica: sapevo che sarebbe stato il mio ultimo anno a Siena”.

Mi piace immaginare Terrell McIntyre sugli spalti di quel palazzetto a Casalecchio di Reno, all’epoca il PalaMalaguti, a pensare a quello che sarebbe stato il futuro dopo i suoi primi anni tra Europa e D-League. Magari qualche sorriso abbozzato riflettendo ai primi anni dell’infanzia, quando football e baseball gli piacevano talmente tanto da impensierire il basket nella sua scala gerarchica degli sport (ride dicendomi che “A causa della mia altezza e della mia statura, mi è stato detto che il basket era lo sport che non potevo fare: ecco perché ho voluto concentrarmi di più su quello”).

Sicuramente, non me lo immagino a pensare che qualche istante dopo sarebbe sceso su quel parquet per incidere il suo nome con lo scalpello nel marmo del campionato italiano, così come avrebbe fatto successivamente con decine e decine di altre prestazioni magistrali, con Siena prima e Virtus Bologna poi, fino all’acutizzarsi di un’artrite all’anca sinistra che lo avrebbe costretto a fermarsi. Lui che non si fermava mai, che in campo era una pallina impazzita nel flipper della Serie A. Lui che era sempre pronto a palleggiare, arrestarsi e sparare da tre. Una dopo l’altra, contando fino a dieci.

McIntyre in Eurolega con Siena
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