Se vi chiedessero qual è la squadra più in crescita nell’ultimo triennio in NBA, non potreste fare altro che rispondere oggettivamente in due parole: Memphis Grizzlies.
Portiamo qualche dato a supporto di questa tesi, per quanto sia oggettivamente inconfutabile.
Partiamo prendendo in analisi il record di squadra della stagione 2018/19: 33 vittorie, 49 sconfitte. Una stagione di transizione, nella quale salutò il Tennessee anche l’ultimo All Star di quel roster che – intorno alla metà della scorsa decade – ha fatto battere forte il cuore della città di Memphis: Marc Gasol. Il centro catalano venne scambiato a stagione in corso ai Toronto Raptors, coi quali poi andrà a vincere il titolo NBA. Con Gasol, il nucleo di ‘cagnacci’ formato da Mike Conley, Tony Allen e Zach Randolph scrisse le più belle pagine della giovane storia della franchigia, forgiandone la cultura espressa essenzialmente dal motto Grit ‘n Grind.
Nel 2013 i Grizzlies arrivarono fino alle Conference Finals dopo una stagione da 56 vittorie e 26 sconfitte, record all-time della franchigia, eguagliato proprio quest’anno. Un nuovo, grandioso 56-26 che risulta addirittura roboante se accostato proprio al 33-49 di appena tre stagioni fa. Ma anche al 38-34 del 2020/21, perché nel giro di 12 mesi i Grizzlies sono stati capaci di ottenere 18 vittorie in più e 8 sconfitte in meno rispetto alla stagione precedente.
Il segreto? Non è uno, e tanto meno non è segreto. Mai come quest’anno infatti l’attenzione mediatica della lega è stata rivolta verso il Tennessee per via soprattutto dei prodigi di Ja Morant. Il numero 12 dei Grizzlies, scelto con la seconda chiamata al Draft proprio del 2019, è stato riconosciuto sin da subito come il nuovo giocatore franchigia. Il volto della Memphis del futuro, che però è già oggi. Perché nel 2021/22 non è solamente esplosa definitivamente la Morant-mania sui social media, ma anche una squadra sul campo. Come dicono oltreoceano, break-out season. E se ciò è stato possibile, gran parte dei meriti vanno assegnati all’altro fondamentale upgrade che nel 2019 – l’anno zero della ricostruzione, se non si fosse capito – ha permesso ai Grizzlies di rilanciarsi ben prima delle più rosee previsioni. Spesso sono i giocatori a fare la differenza, ma stavolta il Cesare a cui va dato ciò che gli spetta, come dice il detto, siede in panchina come capo allenatore e all’anagrafe fa Taylor Jenkins.
Young core, young coach
L’attuale Head Coach dei Grizzlies è stato per ben 6 stagioni assistente di Mike Budenholzer, prima agli Hawks e poi ai Bucks. Poi nel 2019, a 35 anni, ha ottenuto la chance di prendere in mano la guida tecnica di una franchigia NBA: sfida accettata. Taylor Jenkins è ambizioso e ha le idee chiare per come far tornare a ruggire Grind City, la città dei Grizzlies.
Iniziando da semi-sconosciuto, il suo nome è arrivato ad essere il secondo più popolare nella graduatoria delle votazioni per il premio di Coach Of The Year 2022. Solamente Monty Williams dei Phoenix Suns ha ottenuto più preferenze di Jenkins. Ma l’anno della consacrazione è arrivato lo stesso, al di là del mancato riconoscimento individuale per l’allenatore nato a Dallas, capace comunque di dimostrare sul campo di essere l’allenatore emergente più interessante in NBA.
38 anni il prossimo settembre, Jenkins è il secondo allenatore più giovane della lega – lo precede solamente Mark Daigneault, allenatore degli Oklahoma City Thunder, più giovane di soli 11 mesi – e allena la seconda squadra più giovane per età media. Quella dei Grizzlies è infatti di 24 anni; meglio fa sempre OKC (23 anni e mezzo), mentre la media NBA nel 2021/22 è stata di 26,2 anni. Ultimi? I derelitti Los Angeles Lakers, che sfondano ampiamente quota 30… Pensate che nessun Grizzlie invece supera i 30 anni: i due uomini di maggiore esperienza della squadra, Kyle Anderson e Steven Adams, sono infatti classe 1993.

Sarà proprio per questa spiccata capacità di lavorare con i giovani talenti che a Milano, in occasione di Basketball Without Borders Europe, tra le figure di spicco dello staff NBA ci sia proprio Taylor Jenkins.
Mentre spiega ai ragazzi in campo è un martello. Ci mette energia e determinazione in ogni movimento che illustra agli allievi, cura in ogni situazione di gioco esaminata nel dettaglio, ma soprattutto passione. La passione di chi ama allenare, seminare e veder crescere frutti con il tempo. Non poi molto, se si ha questo amore profondo per il proprio mestiere e la materia prima su cui lavorare è di alto livello. A quel punto, il processo di maturazione si accelera e i risultati arrivano, di conseguenza, a superare le aspettative di tanti addetti ai lavori. Di certo, non del coach dei Memphis Grizzlies.
“Non sono per niente sorpreso dal rendimento in ascesa dei ragazzi nel corso degli ultimi tre anni. È ciò che devo aspettarmi da un gruppo giovane, mosso dalla medesima unità d’intenti. Non si sa cosa ci riserverà il futuro in termini di risultati, ma so per certo che miglioreremo ancora, di anno in anno. Ogni stagione è diversa, ogni corsa playoff selvaggia e mai uguale alla precedente. Ma i nostri ragazzi sono super motivati, mai soddisfatti e sempre affamati. A Memphis incarniamo la vera competizione e penso che si sia visto sia durante la stagione regolare sia nei playoff”.
Specialmente quest’anno i Grizzlies hanno potuto testare la bontà del loro percorso di crescita in postseason, incrociando in semifinale di Conference nientepopodimenoche i Golden State Warriors di Steve Kerr. La dinasty più forte di sempre secondo molti addetti ai lavori, contendendo il primato ai leggendari Chicago Bulls di Phil Jackson.
Dalla serie contro i Warriors, Memphis ne è uscita sconfitta solo nel risultato (4-2), ma non scalfita nello spirito.
“Contro i Warriors abbiamo provato a fare del nostro meglio. Siamo stati uno scoglio importante per loro, non hanno avuto vita facile. C’è mancato poco, ma finché avremo dalla nostra parte l’attitudine positiva dimostrata ogni singolo giorno continueremo a progredire, rimanendo fedeli a ciò che siamo. Ci divertiamo a fare ciò che facciamo, e penso che si veda anche in campo. Siamo competitivi, la spavalderia non ci manca… Tutto sta nel riuscire a mantenere lo stesso spirito. È il fattore chiave che determinerà le nostre chance di successo future. Alcune volte giocheremo bene, altre volte male, ci sono sempre alti e bassi nel corso di una stagione… L’importante sarà alimentare il nostro spirito, traendo motivazione anche dagli errori che a turno ognuno di noi commetterà. Se saremo in grado di fare questo, sono convinto che miglioreremo ancora”.
Grit & Grind… & Growht
Il frutto maturo non cade mai lontano dall’albero, specialmente se le radici di quest’ultimo sono solide e profonde.
La cultura della franchigia seminata da The Grindfather Tony Allen, Z-Bo e soci ormai una decina di anni fa, non è stata dispersa dal nuovo young core dei Memphis Grizzlies. Giovani, ma tutt’altro che acerbi. Certamente sfacciati, ma nel senso migliore del termine: i ragazzi terribili di coach Jenkins rispettano tutti, ma non temono nessuno. Proprio come i Grizzlies di cui sopra, quelli che nella seconda decade del XXI secolo hanno lasciato un’impronta ben marcata, scavando un solco dentro il quale ancorare le radici, dov’è rinchiuso il DNA della franchigia che verrà tramandato di volta in volta, di generazione in generazione.
Non sorprende infatti vedere i Grizzlies edizione 2021/22 giocare duro, come testimonia il quarto miglior Defensive Rating stagionale. Corrono il campo con furore, tanto da essere al terzo posto nella lega per Pace (numero di possessi giocati in 48 minuti di gioco effettivi). Dati che facilitano la transizione offensiva e più in generale l’attacco, il secondo migliore della lega per punti realizzati (115,6) e il quinto per Offensive Rating.
Certamente lo straordinario talento di Ja Morant incide molto sulla produzione offensiva di squadra, ma meno di quanto si possa pensare. Anche il suo back-up, Tyus Jones – che nel 2021/22 ha avuto il miglior rapporto assist/palle perse del campionato (6,4) – ha saputo far girare bene la squadra nelle 25 partite saltate dal NinJa in stagione. Il record dei Grizzlies con Morant ai box? 20 vittorie, 5 sconfitte.
Un bilancio eccellente, a testimoniare quanto sia il collettivo a fare la differenza indipendentemente dalla presenza o assenza della rising star. Un bilancio che dà ragione pienamente a coach Jenkins: lo spirito di squadra è la chiave. Anche se avere a disposizione il numero 12 – che nelle nove gare disputate ai playoff ha viaggiato a 27 punti, 8 rimbalzi e quasi 10 assist di media ad allacciata di scarpe – certamente dà non una, non due, ma almeno tre marce in più. Tuttavia, a detta del suo allenatore l’impatto di Morant è ben più grande di quanto dicano le statistiche e gli highlights.
“Parlo della persona più che del giocatore, perché chiunque ha sotto gli occhi l’immenso talento di cui Ja dispone. Dove arriverà? Spero di vederlo diventare MVP e anche campione NBA con noi un giorno… Conosce e studia il gioco del basket. Non è solamente un giocatore dagli istinti selvaggi come il suo stile di gioco potrebbe far pensare. Ha un QI cestistico molto alto e sa perfettamente come essere il leader e il compagno di squadra perfetto. Questo non solo sul campo da basket ma anche a porte chiuse, in spogliatoio e nei momenti extra basket. Per atteggiamento e mindset, è già oltre la sua età. È speciale. Siamo fortunati a poter fare affidamento su un leader di 22 anni che, dopo sole 3 stagioni tra i professionisti, makes it about the team. Ne fa una questione di squadra, ragiona esclusivamente in quell’ottica”.

Ascoltando le parole di Taylor Jenkins, ritorna subito in mente il gesto – simbolico, ma altamente significativo – fatto proprio da Morant poche ore dopo aver ricevuto il premio di Most Improved Player 2021/22. Ja infatti fece trovare la statuetta a casa del suo compagno di backcourt Desmond Bane, con una dedica speciale: “Lo meriti tu”.
In tal proposito, Taylor Jenkins si è espresso così:
Ja Morant gave his MIP Award to Desmond Bane.
— Bleacher Report (@BleacherReport) April 26, 2022
That’s real ✊ pic.twitter.com/Z8ObkcHWO4
“Una delle migliori qualità di Ja è l’altruismo. È votato completamente ai suoi compagni di squadra e questo fattore potrà permetterci di toglierci soddisfazioni in futuro. Ognuno di noi ha compreso che migliorare se stessi spinge automaticamente anche i propri compagni ad alzare l’asticella, a dare di più. La nostra è una squadra di MIP’s, Most Improved Players. Non si tratta solamente di Ja o di Desmond Bane. Potremmo dire lo stesso di Brandon Clarke, De’Anthony Melton, ovviamente Jaren Jackson Jr… Ognuno dei ragazzi sta affrontando un processo di crescita individuale che stimola i compagni a innalzare il livello del nostro gioco. Il lavoro individuale è ancor più rilevante quando si riflette sugli obiettivi del gruppo. Siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda, completamente impegnati a migliorare insieme”.
L’albero dei Grizzlies sta crescendo forte e robusto come una quercia (o come Steven Adams, fate voi). Ben piantato a terra, radicato nel Grit ‘n Grind. Perché le tradizioni e i valori del passato vanno tramandati, specie se ancora ricalcano la culture di una città votata al lavoro come quella che sorge sull’argine del fiume Mississippi. Ma la parola d’ordine per il futuro a Memphis è Growht. Crescita. Lo dice il record in ascesa verticale, lo dicono gli esperti, lo dice il campo. E lo conferma chi a bordo campo ha reso possibile tutto questo.
Grizzlies in 3 (years)
Dopo aver guardato al passato e in particolare ai suoi primi tre anni da capo allenatore dei Grizzlies, Taylor Jenkins può volgere lo sguardo con fiducia e ambizione al futuro. Specialmente dopo che il suo contratto è stato rinnovato, come annunciato recentemente dall’insider NBA Adrian Wojnarowski con questo tweet.
“Il nostro obiettivo per i prossimi tre anni è vincere il titolo. Ovviamente spero che questo possa accadere già la prossima stagione, anche se nessuno ci regalerà nulla e ogni stagione riserva insidie e imprevisti. Ma fino a quando i nostri ragazzi saranno in grado di migliorarsi e spingersi a vicenda oltre i limiti, prima o poi faremo nostro quello che vogliamo ottenere. Dobbiamo rimaniamo fedeli al nostro modo di essere, prendendoci cura l’uno dell’altro, perché questa è l’unicità del nostro team. Abbiamo un’intesa e uno spirito incredibili. Raggiungeremo l’obiettivo di vincere l’anello nel prossimo futuro. Ci scommetterei? Oh sì, assolutamente!“.

Anche Taylor Jenkins è spregiudicato come i suoi ragazzi. Non ha remore quando gli viene chiesto di sbilanciarsi in un pronostico. Il coach sa che la fiducia a Memphis è ai massimi storici, e non si tratta di un fuoco di paglia o di un exploit sporadico. Perché le radici non sono state perse, il Grit & Grind si è evoluto in qualcosa di ancor più funzionale al basket di oggi e quei semi piantati tre anni fa stanno già dando i primi, dolcissimi frutti.
L’impressione è che la stagione 2021/22 possa essere stata solo il preludio a qualcosa di davvero importante.
Un primo potente ruggito dopo il letargo. Un monito, a far capire quanto i giovani Grizzlies abbiano fame.
Possiamo dirlo: a Grind City, la caccia al titolo NBA, è ufficialmente aperta.